La Moglie Maltrattata non Commette Reato se Riga l’Auto del Marito

Data pubblicazione: 2017-11-30
Tempo di lettura stimato: 5 minuti
La Moglie Maltrattata non Commette Reato se Riga l’Auto del Marito

In caso di maltrattamenti in famiglia, se la moglie riga l’auto del marito non è reato

I maltrattamenti in famiglia sono spesso causa dell’intervento delle forze dell’ordine, per tutelare i familiari da una condotta che viene sanzionata dal Codice Penale.

I comportamenti, tuttavia possono essere vari, più o meno reiterati. Ma quando i maltrattamenti in famiglia costituiscono reato? Ci sono eccezioni?

Quando i maltrattamenti in famiglia costituiscono reato

Il Codice Penale introduce il reato di “maltrattamenti contro i familiari o conviventi”.

Nel 2012 infatti l’articolo 572 del codice penale è stato modificato, in quanto nella precedente versione si occupava solo di “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”. L’introduzione dei conviventi amplia ovviamente la sfera di applicazione del reato, estendendola anche ad altri familiari, come una suocera o una madre, o collaboratori domestici, badanti ecc.

Il nuovo testo introduce una sorta di definizione del reato di maltrattamenti in famiglia e recita «chiunque … maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte».

In generale perché sia configurato il reato di maltrattamenti in famiglia è necessario, secondo la Corte di Cassazione, che si sia verificato un complesso di reiterate azioni prevaricatorie o vessatorie, che abbiano prodotto una sofferenza fisica o morale, o che pregiudichino lo sviluppo della personalità in chi le subisce.

Dunque gli atti devono essere ripetuti più volte, non si tratta di singoli episodi, riguardo ai quali scatterebbe, ad esempio, il reato di lesioni personali, violenza sessuale, o sequestro di persona.

Tutte fattispecie, queste sanzionate pesantemente dal Codice Penale ma ricondotte a condotte non reiterate.

Il reato di maltrattamenti in famiglia riguarda solo il matrimonio?

Una recente sentenza della Cassazione ha ribadito che il concetto di famiglia va inteso in senso lato, estendendosi anche ad altre forme di coabitazione.

I giudici della Suprema Corte hanno stabilito infatti che «sussiste il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. tutte le volte che la relazione presenti intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà».

Si tratta quindi di un legame più ampio di quello costituito dal vincolo matrimoniale. Non si tratta quindi di una forma di reato consumato nell’ambito familiare in senso stretto, bensì in un contesto nel quale, all’interno di un nucleo sociale organizzato, avvengano episodi di maltrattamento fisico o psicologico e morale.

I reati da non confondere con quelli di maltrattamenti in famiglia: l’abuso di mezzi di correzione

L’art. 572 c.p. esclude esplicitamente dalla fattispecie di maltrattamenti in famiglia, l’abuso di mezzi di correzione o di disciplina, che configurano un reato a parte.

Questi specifici comportamenti sono sanzionati dall’art. 571 c.p.: «Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina. Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi».

In questo caso il reato si consuma anche con un singolo atto, non reiterato, e riguarda in sostanza l’abuso di metodi correttivi maturato però nell’ambito dell’utilizzo di mezzi legittimi e consentiti.

Diversamente, dice la giurisprudenza, si applica il reato, più grave, di maltrattamenti in famiglia.

Una sentenza interessante: una moglie che riga l’auto del marito

La Corte di Cassazione si è occupata recentemente di un caso singolare.

Si tratta di una moglie che ha danneggiato l’automobile del marito e tagliuzzato alcuni vestiti, in un contesto di relazione coniugale piuttosto litigiosa.

Si tratta di una situazione non molto rara, nella quale il rapporto di coppia, magari prossimo alla separazione, si manifesti in litigi, dispetti o torti reciproci.

Si sono chiesti i magistrati della Suprema Corte se questi comportamenti configurino o meno il reato di maltrattamenti in famiglia.

Ebbene la sentenza del 2014 riconosce che tali comportamenti manifestano la «obiettiva attitudine a portare ad una, pur comprensibile ma non penalmente rilevante, condizione di stizza».

Viene quindi introdotta la “condizione di stizza” quale fattispecie non penalmente rilevante, soprattutto in un contesto coniugale, al cui interno alcuni delitti - tecnicamente i delitti fanno parte dei reati, così come le contravvenzioni.

I reati sono punibili anche con la reclusione, gli altri con semplice ammenda - sono depenalizzati, ai sensi dell’art. 649 del Codice Penale.

Povero dunque il marito con la carrozzeria dell’auto da riparare.

A tutela di queste situazioni esiste una specifica polizza di assicurazione per la casa e famiglia, comunemente definita polizza del capofamiglia.

Si tratta di una copertura assicurativa per danni commessi dai familiari, che si estende anche ad eventuali danneggiamento.

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