Contratto di Lavoro, Quali Sono le Tipologie Attuali e Come Funzionano

Data pubblicazione: 2018-12-17
Tempo di lettura stimato: 11 minuti
Contratto di Lavoro, Quali Sono le Tipologie Attuali e Come Funzionano

A tempo determinato, a chiamata, a tutele crescenti: cosa c’è da sapere sui contratti in Italia, sui rapporti tra datore di lavoro e dipendenti e sulle nuove leggi

La costituzione di un rapporto di lavoro viene regolata da un contratto. Per il diritto del lavoro italiano si tratta di un accordo, regolato giuridicamente, tra il datore di lavoro ed un lavoratore, persone fisiche o giuridiche dotate di soggettività che costituiscono un contratto vero e proprio.

Negli ultimi dieci anni nel nostro Paese la legislazione in materia è cambiata: le modificazioni hanno cambiato anche le tipologie di contratti di lavoro, passando dalle certezze poste in essere per oltre un trentennio dall’articolo 18 ad una flessibilità scandita da lavori per prestazioni, talvolta occasionali e quindi precari, sgravi fiscali per le imprese che assumono a tempo indeterminato e nuove tutele in caso di licenziamenti illegittimi. 

Quali sono le formule di contratto di lavoro applicate oggi in Italia? E cosa prevede la legge in caso di perdita di lavoro? In questo articolo illustreremo le varie opportunità contrattuali stabilite dalla legge, dai lavori occasionali a quelli a tempo determinato, passando per le tutele crescenti e alle indennità risarcitorie.

Contratto a chiamata, cosa prevede?

Il contratto a chiamata rientra nelle tipologie degli accordi stipulati in caso di prestazioni di lavoro occasionale. Con la sua entrata in vigore, nel 2017, si intendeva mettere la parola fine ai voucher, ovvero i buoni lavoro previsti per la prestazione occasionale di lavoro. Il contratto a chiamata non può essere stipulato per le persone che hanno meno di 24 anni o più di 55 anni.

Prevede inoltre che il luogo e il tempo della prestazione vengano stabiliti dal datore di lavoro, quindi rientra pienamente fra i contratti di lavoro subordinato, ma a differenza dei voucher questo tipo di accordo tra datore di lavoro e lavoratore è stato ideato per regolarizzare quei dipendenti utilizzati a cottimo, cioè soltanto quando l’azienda ne ha bisogno.

Come funziona il contratto a chiamata

Una delle condizioni del contratto a chiamata è che le giornate lavorative non siano più di 400 in un arco temporale di 3 anni. L’accordo deve essere redatto e firmato da datore di lavoro e lavoratore, e non può essere sottoscritto da sostituti ai lavoratori in sciopero o che hanno operato dei licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti, o ancora per quelle imprese che non hanno effettuato una valutazione dei rischi in materia di sicurezza del lavoro.

In caso della stipula di un contratto a chiamata, la disoccupazione Naspi viene comunque riconosciuta, mentre per coloro i quali già percepivano tale sussidio, questo viene sospeso nei giorni in cui vige il contratto a chiamata. Dopo il periodo lavorativo, la disoccupazione subirà una riduzione pari all’80% dei redditi ricavati dal lavoro subordinato.

Ma la Naspi può essere percepita anche da quelli che non vi hanno mai avuto accesso: con il contratto a chiamata occorrono 30 giornate di lavoro all’anno, almeno 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti e nessun contratto attivo in essere, nemmeno quello a chiamata. Per accedere al sussidio di disoccupazione, però, il lavoratore deve accettare la garanzia di disponibilità, rendendosi disponibile alle chiamate dell’azienda: in questo modo gli sarà riconosciuto un compenso per il periodo di inattività. 

Le indennità quali infortuni o maternità, in caso di contratto a chiamata vengono riconosciute solo se espressamente previste dall’accordo stipulato. Inoltre, i contributi all’INPS vanno versati obbligatoriamente sia per i giorni effettivi di lavoro che per quelli di indennità di disponibilità, come previsto per tutti i lavori subordinati

Contratto a tempo determinato, cos’è e come funziona

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una tipologia di lavoro subordinato, ma a differenza di quello a chiamata, nel contratto a tempo determinato viene fissato un tempo ben preciso di durata, che indica il termine del rapporto lavorativo e che deve risultare espressamente scritto nell'atto. In caso di mancato inserimento di data di conclusione del rapporto lavorativo, ci troviamo di fronte ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Per legge, nelle aziende non può esserci più del 20% del numero dei lavoratori con contratto a tempo determinato, e con il Decreto Legislativo 81/2015 questo tipo di accordo è stato definito acausale, cioè senza l'obbligo di dover specificare le motivazioni che hanno portato il datore di lavoro a stipulare questo tipo di contratto lavorativo. Stipulando questo accordo, il lavoratore può essere adoperato per lo svolgimento di qualsiasi tipo di mansione.

Se è vero che la durata del contratto a tempo determinato non può superare i 36 mesi, è anche vero che questo accordo tra datore di lavoro e lavoratore può essere prorogabile e sempre con la durata massima di 36 mesi per un massimo di 5 volte. In questo caso, il contratto deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per cui era stato sottoscritto il precedente accordo lavorativo, e quando viene raggiunto il tetto dei 36 mesi cumulativi si può sottoscrivere un altro contratto acausale con durata massima di 12 mesi.

Cosa accade quando scade il contratto a tempo determinato

Se il lavoro prosegue anche dopo la scadenza del contratto, per 30 giorni (per contratti con durata inferiore a 6 mesi) o per 50 giorni (per contratti con durata superiore a 6 mesi) il datore di lavoro è obbligato a corrispondere al dipendente una maggiorazione contributiva per ogni giorno di lavoro in più. Se il rapporto di lavoro supera i 30 o i 50 giorni, il contratto passa a tempo indeterminato: ecco perché bisogna far trascorrere un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto, onde evitare di essere sanzionati.

Quali sono gli obblighi per il datore di lavoro?  Deve comunicare per iscritto al lavoratore le seguenti informazioni:

  • identità delle parti;
  • luogo di lavoro;
  • data di inizio e durata del contratto;
  • categoria/livello o denominazione dell’impiego;
  • stipendio iniziale e tempi di pagamento;
  • durata e modalità di godimento delle ferie pagate;
  • orario di lavoro;
  • durata del preavviso di rottura del contratto.

Come per gli altri lavori subordinati, anche con il contratto a tempo determinato è possibile avere diritto alla disoccupazione. Naspi è il nome della nuova indennità di disoccupazione che può essere richiesta da chi ha almeno versato 13 settimane di contributi nei 4 anni che precedono la disoccupazione, oppure almeno 30 giornate lavorate all'anno.

Contratto a tutele crescenti, le indennità risarcitorie in caso di licenziamento

Lo scudo protettivo dell’articolo 18 è ormai un ricordo per i lavoratori, ma dal 7 marzo 2015 esiste un contratto – denominato a tutele crescenti – che grazie ad un nuovo regime di tutela intende proteggere i lavoratori a tempo indeterminato con un’indennità risarcitoria prevista in caso di licenziamento, crescente appunto in base all’anzianità di servizio.

Se a differenza di trent’anni fa oggi è più facile essere licenziati, d’altro canto con la riforma del lavoro del 2015 sono state introdotte delle misure che intendono stimolare l’adozione dei contratti a tempo indeterminato, dopo tre anni lavorativi, grazie alla significativa riduzione dei costi sostenuti dall’azienda. E se l’azienda, trascorsi i tre anni, non intende più assumere il lavoratore con contratto a tempo indeterminato? A quel punto scattano le misure previste dal Jobs Act per risarcire i lavoratori. Ma concentriamoci sul contratto a tutele crescenti.

Per chi si applica il contratto a tutele crescenti

Questa formula prevede il reintegro del lavoratore licenziato ad alcune condizioni ben precise. Motivo e modalità del licenziamento sono alla base di questo accordo, che intende porre rimedio alle tutele venute a mancare dopo la riforma dell’articolo 18, il quale prevedeva il diritto al reintegro per tutti i casi di licenziamento senza giusta causa.

Le tutele crescenti hanno invece dei distinguo: vengono infatti considerati licenziamenti illegittimi quelli discriminatori (legato a motivazioni religiose, politiche, handicap fisici del lavoratore ecc.), disciplinari (se accertati dal giudice), comunicati a voce, per maternità, i congedi parentali e il primo anno di matrimonio.

Cosa accade in caso di licenziamento discriminatorio?  Dopo aver fatto ricorso, il lavoratore può ottenere un’indennità equivalente a 15 mensilità calcolata in base all’ultima retribuzione valida per il calcolo del Tfr, compresi i contributi assistenziali e previdenziali e, una volta accordato il reintegro, può comunque rinunciare alla riassunzione, optando per un’indennità economica extra che viene a sommarsi alle mensilità perdute. Oltre a dare diritto all’indennità di disoccupazione, il contratto a tutele crescenti prevede la conservazione del rapporto di lavoro in caso di malattia o infortunio.

Risoluzione consensuale del contratto di lavoro e dimissioni volontarie cambiano con il via libera al Jobs Act, che ha archiviato la lettera di dimissioni classica a favore della procedura telematica attiva sul sito dell’INPS.

Attraverso il Pin fornito dall’Inps, oppure con un CAF o un sindacato, si può comunicare la scelta delle dimissioni: in caso di comunicazione cartacea consegnata al datore di lavoro, tale scelta non risulterà valida. 

I beneficiari del contratto a tutele crescenti

I lavoratori dipendenti del settore privato inquadrati come impiegati, operai o quadri (ad eccezione dei dirigenti) assunti dopo il 7 marzo 2015 beneficiano dei diritti del contratto a tutele crescenti. I dipendenti della pubblica amministrazione, e gli operai agricoli, vengono invece esentati dal contratto, così come chi ha già beneficiato di un rapporto di lavoro agevolato nella stessa azienda o ai dipendenti inseriti con un contratto indeterminato a scopo di somministrazione nei sei mesi precedenti.

L’effetto retroattivo del Jobs Act, invece, viene applicato per i dipendenti di aziende che, dopo il 7 marzo 2015, abbiano sforato il limite di 15 dipendenti per unità produttiva (o dei 60 impiegati sul territorio nazionale) per effetto di assunzioni successive.

Contratto di apprendistato, cosa offre e come funziona

Per i giovani dai 15 ai 29 anni che intendono inserirsi nel mondo del lavoro, esiste la formula del contratto di apprendistato: viene stipulato in caso di formazione professionale che possa essere portata avanti parallelamente agli studi, garantendo così al giovane di essere inserito nell’azienda - che lo assumerà e lo formerà con un corso di qualifica professionale o di alta formazione - a cui segue solitamente l’assunzione a tempo indeterminato da parte dell’impresa stessa. 


I contratti di apprendistato si dividono in due macro aree in base ad età e mansioni svolte:

  • Per i giovani dai 15 ai 25 anni di età è previsto l’apprendistato per la qualifica professionale;
  • Per i giovani tra i 18 e i 29 anni di età la formazione è previsto l’apprendistato professionalizzante oppure di apprendistato di alta formazione e ricerca (rivolto a chi vuole conseguire un titolo di studio di livello secondario oppure universitario, compreso il dottorato di ricerca).

La retribuzione per i contratti di apprendistato è stabilita dalla legge, e può variare in base al settore in cui il giovane sarà formato e anche in base al tipo di contratto di apprendistato cui è stato destinato.

La legge prevede uno stipendio annuo di circa 2.000 euro per i minorenni e di 3.000 euro per i maggiorenni per l’apprendistato professionale, mentre per l’apprendistato professionalizzante il salario previsto è pari ad almeno il 60% della retribuzione pattuita per il proprio livello di assunzione, così come statuito dal CCNL.

La percentuale può essere ridotta fino a un minimo del 35% se al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore effettive di lavoro e quelle invece dedicate alla sola formazione.

Infine, per quanto riguarda lo stipendio per l’apprendistato di alta formazione e ricerca bisogna fare riferimento al livello di inquadramento così come stabilito secondo il CCNL.

Anche la durata del contratto di apprendistato può variare in base al tipo di contratto stabilito: per la qualifica professionale la durata è fissata fino a un massimo di 3 o 4 anni a seconda del diploma professionale, mentre per l’apprendistato professionalizzante la durata va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni. Per le professioni artigiane invece il contratto dura invece 5 anni, fatta naturalmente eccezione per le attività con cicli stagionali.

Come avviene già in altre forme contrattuali, anche per il contratto di apprendistato è previsto che gli imprenditori con più di 50 dipendenti abbiano l’obbligo che quest’ultimo sia indeterminato se almeno il 20% degli apprendisti dell’ultimo triennio è presente in azienda. 

In caso di malattia o infortuni, sono previste delle polizze con cui si può prevenire la mancanza economica: in questo modo, il datore può prorogare il contratto di apprendistato, così da raggiungere il numero di giorni di lavoro effettivi e rispettare gli accordi stipulati.