Responsabilità Disciplinare dei Magistrati, Come Funziona

Data pubblicazione: 2019-03-04
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Responsabilità Disciplinare dei Magistrati, Come Funziona

La normativa di riferimento in materia di Responsabilità Disciplinare dei Magistrati

Il sistema disciplinare dei magistrati è stato regolamentato per la prima volta dal regio decreto sulle Guarentigie della Magistratura, ossia dalla legge 511/1946. Successivamente all’entrata in vigore della nuova Carta costituzionale, con la legge 195/1958 è stato istituito il Consiglio Superiore della Magistratura, quindi con il Dpr 916/1958 sono state stabilite le regole di funzionamento dell’organo di autogoverno, compresa appunto la parte riguardante la Responsabilità Disciplinare dei Magistrati.

Il disciplinare quindi, è stato sempre gestito dall’organo di autogoverno, dal Consiglio Superiore della Magistratura, anche dopo la riforma dell’Ordinamento Giudiziario fortemente voluta dal governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006.

Responsabilità dei magistrati: la legge del 2006

La riforma dell’Ordinamento Giudiziario (legge 150/2005) ha avuto una lunga e travagliata stesura, segnata da scontri anche molto accesi tra le toghe e l’allora Guardasigilli Roberto Castelli (Lega Nord). Dall’attuazione della riforma scaturirono diversi decreti legislativi, uno di questi (il numero 109 del 23 febbraio 2006) stabiliva la «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati e delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicazione». Un testo che introduceva una tipizzazione specifica per gli illeciti, dal momento che il Regio Decreto del ‘58 prevedeva solo l’illecito ogni qualvolta il magistrato mancasse ai suoi doveri o tenesse una condotta immeritevole e compromettente per il prestigio della categoria. Una formula troppo generica e di fatto inefficace.

La tipizzazione degli illeciti disciplinari secondo la riforma del 2006

 Razionalizzare il sistema, dare certezza del diritto: da più parti si richiedeva un intervento sul sistema disciplinare dei magistrati, chiamati molto raramente a rispondere di persona in caso di errori commessi nell’esercizio della professione. Il D.Lgs introdusse quindi tre categorie di illeciti disciplinari per i magistrati:

  • illeciti commessi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie;
  • illeciti commessi fuori dall’esercizio delle funzioni;
  • illeciti disciplinari conseguenti a reato.

Illeciti nell’esercizio delle funzioni

Per gli illeciti nell’esercizio delle funzioni seguiva un elenco dettagliato tra i quali:

  • comportamenti in violazione dei doveri del magistrato come imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona;
  • comportamenti che arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti;
  • omissione di comunicazione al Csm di situazioni di incompatibilità;
  • consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;
  • comportamenti gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di altri sempre in rapporti con lui nell’ambito dell’ufficio giudiziario;
  • grave violazione di legge dovuta a ignoranza o negligenza inescusabile;
  • sottrarsi all’attività di servizio in modo abituale e ingiustificato;
  • divulgare atti del procedimento coperti dal segreto.

Rimase sempre esclusa dall’elenco degli illeciti, l’attività di interpretazione delle norme così come la valutazione del fatto e delle prove.

Illeciti al di fuori dell’esercizio delle funzioni

Per gli illeciti disciplinari al di fuori dell’esercizio delle funzioni, l’elenco includeva:

  • uso della posizione per trarre vantaggi per sé o per altri;
  • frequentare persone sotto procedimento penale da lui trattato;
  • frequentare delinquenti abituali
  • intrattenere rapporti consapevoli di affari con persone condannate per delitti la cui pena è della reclusione superiore a tre anni o sottoposte a misure di prevenzione;
  • assumere incarichi extragiudiziari senza autorizzazione del Csm;
  • svolgere attività incompatibili con la funzione giudiziaria;
  • comportamenti contrari all’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato.

Illeciti conseguenti a reato

Per gli illeciti disciplinari conseguenti a reato si inserivano:

  • delitto doloso preterintenzionale, con pena detentiva o congiunta a pena pecuniaria;
  • delitto colposo con pena della reclusione con modalità e conseguenze di carattere di particolare gravità;
  • qualunque reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, anche se questo dovesse estinguersi per qualsiasi causa o l’azione penale non dovesse iniziare e proseguire.

Responsabilità disciplinare dei magistrati e sanzioni

Tale crimen, talis poena. Il D.Lgs del 2006 ricollegava specifiche sanzioni alle diverse fattispecie, con gravità crescente.

Si iniziava con l’ammonimento, un richiamo all’osservanza dei doveri del magistrato.

Seguiva la censura, una dichiarazione formale di biasimo.

Al terzo gradino la perdita di anzianità, tra i due mesi e i due anni.

Quindi l’incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo da 6 mesi a 2 anni.

La sospensione delle funzioni si concretizzava con l’allontanamento, la sospensione dello stipendio e il collocamento fuori ruolo dalla magistratura.

Infine la rimozione, ossia la cessazione del rapporto di servizio mediante decreto del Presidente della Repubblica.

Possibile anche il trasferimento d’ufficio, disposto direttamente dalla sezione disciplinare del Csm nel caso in cui la permanenza del magistrato nello stesso ufficio dovesse essere in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia.

Secondo il D.Lgs 109/2006, titolari dell’azione disciplinare potevano essere, disgiuntamente, il ministro della Giustizia e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione. Carica quest’ultima eletta dal Consiglio Superiore della Magistratura tra una rosa di magistrati candidati.

Le novità della legge 269/2006 sulla responsabilità disciplinare dei magistrati

La promulgazione della riforma dell’ordinamento giudiziario ebbe un iter travagliato: lo stesso Presidente della Repubblica rinviò la legge alle Camere individuando profili di incostituzionalità, in particolare nella parte riguardante la politica giudiziaria in mano al Guardasigilli, ritenuto lesivo dei principi costituzionali di indipendenza ed autonomia della magistratura. La legge delega fu inoltre bocciata dalla Consulta in diversi punti.

Con la vittoria del centrosinistra alle elezioni del 2006 e l’arrivo a via Arenula del ministro Clemente Mastella, la riforma fu profondamente modificata.

Le legge 269/2006 stabilì subito la sospensione della riforma ed introdusse diverse modifiche.

Secondo il nuovo testo, il ministro ha la facoltà di promuovere l’azione disciplinare chiedendo al Procuratore Generale di indagare e dando comunicazione al Csm, il Procuratore Generale invece ha l’obbligo di esercitare l’azione dando sempre comunicazione al Csm e al Guardasigilli.

Chiunque inoltre ha la possibilità di segnalare ai titolari dell’azione disciplinare fatti rilevanti e ritenuti degni di procedimento. Azione che dovrà essere promossa entro un anno dalla notizia del fatto.

La legge 269/2006 ha introdotto anche il potere di autonoma archiviazione del Procuratore Generale, in caso di condotta disciplinare irrilevante o per denuncia non circostanziata.

Il procedimento disciplinare e la Procura Generale

Come riportano i dati di alcune pubblicazioni redatte da stessi magistrati (Questione Giustizia ed altre), l’azione di filtro della Procura Generale della Cassazione è fondamentale. La media delle azioni disciplinari tra il 2009 e il 2016 è di circa 159, a fronte di 1780 notizie di illecito pervenute nel 2011 e di 1340 nel 2017. La Procura quindi ha una capacità di archiviazione del 90%.

Il procedimento disciplinare

La richiesta di indagini rivolta al Procuratore e la comunicazione di quest’ultimo al Csm, avviano il procedimento disciplinare di cui deve essere data comunicazione all’interessato - pena la nullità dell’azione - entro 30 giorni. Questi potrà farsi assistere da un magistrato, un avvocato o un consulente tecnico.

Svolte le indagini il Procuratore (o un magistrato del suo ufficio), che nel procedimento disciplinare dei magistrati svolge le funzioni di Pubblico Ministero, formulerà le richieste conclusive inviando il fascicolo alla sezione disciplinare del Csm.

Questi formulerà una declaratoria di non luogo a procedere nel caso in cui escluda addebito, oppure l’incolpazione.

Nel primo caso, salvo intervento del ministro, deciderà la sezione disciplinare, nel secondo caso il Procuratore chiederà la fissazione dell’udienza di discussione orale che dovrà essere stabilita con decreto del presidente della sezione disciplinare.

Sarà quindi la stessa sezione a deliberare, irrogando sanzioni oppure ad assolvere; rispetto a questa sentenza potrà essere proposto ricorso presso le Sezioni Unite della Cassazione.